seconda pelle

Reportage

La linea sottile tra l’essere e l’apparire resta una di quelle domande fondamentali che assillano l’uomo ma forse, ancor di più, chi lo guarda. In tal senso, proprio la contrapposizione tra guardare e vedere, insieme a quello che si è e a quello che si vuole mostrare essere, saranno per sempre qualcosa di delicato, una linea sottile sulla quale si vacilla facilmente – fa parte dell’essenza dell’uomo.

La California e San Francisco hanno aperto in me uno spiraglio su queste riflessioni. Poi le hanno elevate alla massima potenza racchiudendole nel dolce dolore delle corde annodate sulla pelle e del latex luccicante dei partecipanti alla Folsom Street Fair, il più importante evento al mondo per le culture Leather e BDSM.

Era il 2013 quando passeggiavo per le strade invase di gente; era settembre quando mi rendevo conto che non erano gli esibizionisti, i masochisti, i sadomaso, le ragazze appese per aria o gli uomini al guinzaglio a stupirmi. Nessuno di loro era lì per giocare una parte, ma piuttosto per svelare un significato profondo e, una volta capito questo, mi resi conto che quello che mi affascinava davvero era la gente che li guardava senza vedere che, in quel momento, tutte quelle persone erano finalmente loro stesse. Quello che mi colpiva erano quegli occhi sospesi tra severità, curiosità e invidia per quello che potremmo (forse) chiamare “il coraggio” mostrato dai partecipanti alla sfilata.

Più camminavo, più m’immergevo e mi fondevo nell’euforia palpabile, più mi soffermavo sulla gente e più capivo che, indossando le maschere, spogliandosi degli abiti della vita quotidiana tutti coloro che erano scesi per la strada si liberavano, mostrando alla luce del caldo sole il peccato più pericoloso nei confronti degli altri: quello del benessere.

Chissà, tra i passanti, tra le fotografie scattate, tra le bocche aperte per lo stupore quanti pensieri andavano all’intimità dell’io, nascosta dietro i muri delle case, dietro personaggi costruiti su persone e chissà quanti, di quei sorrisi che scorgevo tra la folla andavano ai segreti di ognuno celati con cura. Chissà quante, di quelle persone tra gli spettatori, hanno cercato una forza e un’ispirazione nella fierezza dei partecipanti alla Fair, quanti si saranno detti che non c’è niente di sbagliato a essere quello che si è e, quindi, perché non provare.

Mi resi conto che in quel giorno di settembre non mi trovavo semplicemente tra uomini e donne: mi trovavo davanti a dei simboli, a delle rappresentazioni che si scontravano con il senso d’inadeguatezza che, troppo spesso, blocca i nostri gesti alimentando i pregiudizi su tutto ciò che non conosciamo e che perciò ci spaventa o ci porta a non mostrarci. Nelle fotografie che ho scattato quel giorno, gli individui hanno smesso di esistere attraverso gli occhi degli altri, si sono mostrati ed erano senza paura.

Almeno per il tempo di quella sfilata non esistevano più i doppioni dell’essere e dell’apparire, di come siamo e di come ci vedono gli altri. Tutto era natural mente reale e, almeno per quel momento, il senso delle cose si è ristabilito andando a stravolgere quel lo che la società ha deciso arbitrariamente essere “normale” e “giusto”.

Nella gioia e nella libertà che ho respirato quel giorno, che ho fermato nelle immagini, auguro a tutti di essere.